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In attesa di uno squarcio nel cielo – Una preghiera

Testo: Isaia 63, 15 – 64, 4

63,15 Guarda dal cielo, e osserva,
dalla tua abitazione santa e gloriosa.
Dove sono il tuo zelo, i tuoi atti potenti?
Il fremito delle tue viscere e le tue compassioni
non si fanno più sentire verso di me.
16 Tuttavia, tu sei nostro padre;
poiché Abraamo non sa chi siamo
e Israele non ci riconosce.
Tu, SIGNORE, sei nostro padre,
il tuo nome, in ogni tempo, è Redentore nostro.
17 SIGNORE, perché ci fai peregrinare lontano dalle tue vie
e rendi duro il nostro cuore perché non ti tema?
Ritorna, per amor dei tuoi servi,
delle tribù della tua eredità!
18 Per poco tempo il tuo popolo santo ha posseduto il paese;
i nostri nemici hanno calpestato il tuo santuario.
19 Noi siamo diventati come quelli che tu non hai mai governati,
come quelli che non portano il tuo nome!
64,1 Oh, squarciassi tu i cieli, e scendessi!
Davanti a te sarebbero scossi i monti.
2 Come il fuoco accende i rami secchi,
come il fuoco fa bollire l'acqua,
tu faresti conoscere il tuo nome ai tuoi avversari
e le nazioni tremerebbero davanti a te.
3 Quando facesti le cose tremende che noi non ci aspettavamo,
tu discendesti e i monti furono scossi davanti a te.
4 Mai si era udito, mai orecchio aveva sentito dire,
mai occhio aveva visto che un altro dio, all'infuori di te,
agisse in favore di chi spera in lui.

Il testo che abbiamo letto è soltanto una parte di una preghiera complessa e appassionata.
Purtroppo non siamo più certi del contesto originario in cui essa è stata pronunciata la prima volta. Alcuni pensano sia stata scritta durante l’esilio babilonese, altri ritengono più probabile che sia stata scritta nel periodo successivo al rientro in patria quando ancora la città di Gerusalemme – mura e tempio compreso – erano in rovina, il popolo era povero e frustrato e il ritorno non era stato glorioso come era stato annunciato. La differenza fra le due situazioni non è poi così importante. E’ evidente che chi scrive vive un tempo difficile, pieno di problemi, un tempo oscuro.
Il testo è stato scelto perché è tempo di avvento, tempo in cui le chiese cristiane, quasi tutte, riflettono sul tema dell’attesa. Questa è una preghiera per un’attesa di luce in un tempo buio.
Nel brano precedente che non abbiamo letto chi prega fa una ricognizione nel passato: “Io voglio ricordare le bontà del Signore…”, quel Signore che aveva contato sul suo popolo e sulla sua sincerità (63,8).  E ricordando il tempo andato fa un elenco del tutto incompleto degli eventi di cui aveva sentito parlare probabilmente fin dalla sua infanzia. Egli parla poeticamente di un tempo in cui Dio stesso – non un inviato o un angelo – ma Lui stesso “se li era presi sulle spalle e li aveva portati”. Li aveva fatti uscire dal mare e come un pastore fa con il suo gregge li aveva condotti perfino attraverso gli abissi senza farli inciampare. Ricorda di come Dio stesso aveva legato il suo nome alle sorti del suo popolo e ora, a questo Dio chiede nella situazione di miseria, di penuria, di sbandamento: “Dove sei?”.
Sì, certo, chi prega riconosce che Dio aveva avuto fiducia in un popolo che poi l’aveva deluso e tradito. En passant egli  riconosce al versetto 10 che essi furono ribelli, che contristarono lo Spirito di Dio e che quindi Dio divenne loro nemico, tuttavia nella preghiera questo aspetto pur riconosciuto viene subito dopo messo da parte.
E anche noi, se pure quando siamo sinceri riconosciamo di pagare a volte le conseguenze delle nostre scelte sbagliate individuali o collettive, dei nostri errori, dei nostri egoismi, spesso subito dopo lo dimentichiamo e torniamo a lamentarci della sorte avversa, del senso di abbandono, della nostra misera condizione.
E così fa anche il nostro fratello, la nostra sorella che prega: “Guarda dal cielo e osserva dalla tua abitazione santa e gloriosa…”. Chi prega accentua il contrasto fra la gloria di Dio e la situazione di miseria che vive e rimprovera a Dio la sua lontananza, la sua indifferenza. Dio tace, non fa sentire il suo amore, non si muove a compassione, non agisce a suo favore. L’orante ricorda a Dio chi è!!!
“Eppure sei nostro Padre, il tuo nome, in ogni tempo, è Salvatore nostro”. Non Abramo, non Giacobbe ma Tu sei nostro Padre. A Dio attribuisce perfino (vv. 17 e 19) lo sbandamento spirituale e l’induramento del cuore del popolo cui appartiene!
La richiesta a Dio è quasi oltraggiosa: “Ritorna”, che è la parola che normalmente Dio rivolge al suo popolo, la parola del tornare indietro, dell’inversione a U, della conversione. Dio si deve convertire! Chi prega chiede a Dio di guardare dal cielo il popolo immiserito e sbandato, di riconsiderare le sue responsabilità dimenticate di padre e di tornare sui suoi passi!
Poi la preghiera si fa ancora più imperiosa: “Oh, squarciassi tu i cieli e scendessi!!!”. Se venissi giù allora tutti ti vedrebbero, perché la tua forza scuoterebbe i monti, il fuoco consumerebbe i nemici e le nazioni sarebbero prese da sacro timore!

La preghiera continua e continua ad alternare il riconoscimento delle responsabilità di un popolo che porta “la giustizia come un abito sporco”, che si consuma con le sue nefandezze (64, 6) con la richiesta che Dio si assuma Egli stesso la responsabilità di Padre e di vasaio.
Questa preghiera solo in apparenza è un dialogo con Dio in cui sentiamo soltanto una voce. In realtà è chiaro come non mai che si tratta di un dialogo vero che avviene nel cuore. Chi prega parte da quello che sa di Dio perché l’ha appreso dai racconti delle generazioni passate, lo Spirito lo aiuta a fare i collegamenti con quello che vive, e man mano che prega comprende le proprie responsabilità come singolo e come popolo, ma non dispera, al contrario si attacca a Dio con più forza. Tante volte aveva cantato insieme al popolo:

8 Il SIGNORE è pietoso e clemente,
lento all'ira e ricco di bontà.
9 Egli non contesta in eterno,
né serba la sua ira per sempre.
10 Egli non ci tratta secondo i nostri peccati,
e non ci castiga in proporzione alle nostre colpe.
11 Come i cieli sono alti al di sopra della terra,
così è grande la sua bontà verso quelli che lo temono.
12 Come è lontano l'oriente dall'occidente,
così ha egli allontanato da noi le nostre colpe.
13 Come un padre è pietoso verso i suoi figli,
così è pietoso il SIGNORE verso quelli che lo temono.

Da questa lettura vorrei sottolineare due aspetti, uno ha a che fare con il pregare, l’altro con il desiderio accorato che Dio squarci il cielo e scenda.
Il primo aspetto l’ho anche un po’ anticipato. La preghiera ebraica e anche la preghiera cristiana ha la Bibbia come suo irrinunciabile linguaggio. Non si può pregare senza leggere e meditare i testi biblici? Certo che lo si può fare ma alla lunga se perdiamo il filo che ci collega alle narrazioni bibliche rischiamo di fare dei monologhi vuoti. E’ la parola biblica che è seminata dentro di noi che rende più profondo e vero il dialogo con Dio. Perché? Perché non parliamo con un dio sconosciuto dai contorni poco chiari, un dio che ci costruiamo noi attraverso il sentito dire, un Dio tappabuchi o un dio coltellino svizzero che viene tirato fuori quando ci serve. Il Dio di Abramo, di Giacobbe, di Mosè, il Dio che Gesù ha sempre pregato è quel Dio di cui la Scrittura ci parla, il Dio di Giobbe e il Dio di Giona, il Dio di Elia e il Dio di Davide. Il Dio che ha creato ogni cosa con la parola e che ha sempre cercato il dialogo con noi. Se non c’è questa parola altra che ci interpella e  diventa così parte della nostra vita, la nostra preghiera è vaga, si rivolge ad un Entità che ha connotati sbiaditi presi a prestito dal supermercato del religioso, un dio che alla fine ci inventiamo noi, il dio-fai-da-te molto diffuso nel nostro tempo. Il Tu a cui ci rivolgiamo è invece Colui che non ha mai smesso di cercarci, dal primo momento, da quando nel giardino dell’Eden ha chiesto ad Adamo: “Dove sei?” e a Caino: “Dov’è tuo fratello?”. E’ il Dio che ci porta e non si fa portare. E’ il Dio che ci si rivela nella Parola e che vuole parlare con noi.

Il secondo aspetto ha a che fare con quel desiderio del credente che soffre perché nel mondo va tutto male e dice: “Oh squarciassi tu i cieli e scendessi!”. Questa è la ragione per la quale questo testo è stato proposto per il tempo d’Avvento. Attendiamo il Natale, ci apprestiamo a celebrare così  il tempo in cui per davvero Dio ha squarciato i cieli ed è sceso. Sì ci stiamo preparando a celebrare il giorno in cui Dio ha aperto i cieli ed è disceso, ha aperto i cieli che come una tenda spessa lo hanno sempre nascosto agli occhi dell’umanità e si è rivelato.
Nonostante questo confessiamo a noi stessi che per come vanno le cose il Natale non ci basta! Anche noi vorremmo gridare: Oh squarciassi tu i cieli e scendessi!!!! Vorremmo pregare anche noi con le parole di questa preghiera. Ci piacerebbe che Dio scendesse per addrizzare quello che va storto, per svelare tutte le nefandezze, per sbugiardare tutti gli imbroglioni, scalzare dai posti di potere tutti i tiranni, tutti i corrotti, per punire tutti i violenti e restituire a chi l’ha persa la dignità, il benessere, la voglia di  vivere. Vorremmo che Dio squarciasse i cieli e venisse “come il fuoco accende i rami secchi, come il fuoco fa bollire l'acqua”. Una venuta definitiva, rivelante e separante il bene dal male, i buoni dai cattivi…

Poi però ci fermiamo e guidati dallo Spirito riconosciamo che forse un fuoco divorante come quello non ci risparmierebbe perché anche noi siamo parte di questo popolo ribelle… Stiamo davvero in condizione di chiamarci fuori? Forse no.
Noi viviamo ancora il tempo della divina pazienza come ne parla Paolo e anche Pietro, il tempo in cui facciamo memoria del Dio che ha davvero squarciato i cieli ma non è venuto come un fuoco divorante e spaventoso ma come un bambino indifeso, non come un fuoco che brucia la pula separandola dal grano come profetizzava Giovanni Battista, ma come un padre in attesa del ritorno del figlio ribelle.  Un padre dagli occhi gonfi dal pianto e dall’insonnia fino a che non vede il figlio tornare per poi riabbracciarlo e baciarlo, felice.
Dio ha squarciato i cieli nel tempo da Lui stabilito ma lo ha fatto venendo in pace e non in giudizio, offrendoci perdono e non punizione. Forse ha sbagliato? Avrebbe dovuto fare altro? Ne siamo sicuri? Chi siamo noi per accusare Dio? Dio ha le sue vie e le sue vie non sono le nostre vie.
Dio ha risposto a quella antica preghiera, ha squarciato i cieli e si è rivelato, ma il Natale che fra poco celebreremo è soltanto l’inizio. Ricordate che alla morte di Gesù la tenda del tempio si squarciò da cima a fondo? Cosa voleva dire questo particolare? Che Dio tolse quel pomeriggio il velo che lo nascondeva. Dio si è mostrato in Cristo morente sulla croce  umanamente disarmato e debole, eppure allo stesso tempo divinamente glorioso e forte dell’Amore bruciante e appassionato che soltanto Dio possiede. Un fuoco che arde ma non consuma, accende ma non distrugge, illumina ma non annienta. Sì, è ancora il tempo della divina pazienza. Dio squarcia i cieli anche nel nostro tempo e ci incontra nella tenerezza di un bimbo appena nato. Perché anche il cuore indurito dal peccato, dal male, dalla violenza, dalla disillusione possa diventare un cuore di carne e ritorni a Dio che lo ha a lungo aspettato e lo abbraccia forte per non lasciarlo più.