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La Fede coraggiosa

Testo: Filippesi 1

15 Vero è che alcuni predicano Cristo anche per invidia e per rivalità; ma ce ne sono anche altri che lo predicano di buon animo.
 16 Questi lo fanno per amore, sapendo che sono incaricato della difesa del vangelo;
 17 ma quelli annunziano Cristo con spirito di rivalità, non sinceramente, pensando di provocarmi qualche afflizione nelle mie catene.
 18 Che importa? Comunque sia, con ipocrisia o con sincerità, Cristo è annunziato; di questo mi rallegro, e mi rallegrerò ancora;
 19 so infatti che ciò tornerà a mia salvezza, mediante le vostre suppliche e l' assistenza dello Spirito di Gesù Cristo,
 20 secondo la mia viva attesa e la mia speranza di non aver da vergognarmi di nulla; ma che con ogni franchezza, ora come sempre, Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia con la vita, sia con la morte.
 21 Infatti per me il vivere è Cristo e il morire guadagno.
 C'è un vero busillis in questo testo che non è facile da sciogliere e che io stesso non avevo mai focalizzato prima, come in questa occasione. Un intrigo che, se sciolto, promette, forse, anche delle suggestioni per la nostra vita oggi.

Vediamo.
Paolo è in prigione ad Efeso, sicuramente per ragioni legate alla sua predicazione dell'Evangelo.
Da Filippi, a più riprese, gli arrivano atti di concreta solidarietà, da parte della piccola comunità cristiana che testimonia in quella città.
In risposta a questi gesti che portano tanta consolazione al cuore di Paolo, egli fa riferimento ad alcune persone che predicano l'evangelo per invidia o per rivalità e che lo fanno "pensando di provocarmi qualche afflizione nelle mie catene". Cioè non solo qualcuno usa il Vangelo in maniera strumentale (come diremmo col nostro linguaggio oggi), ma lo fa anche coscientemente per colpire Paolo. Ma perché? Perché accanirsi contro qualcuno che è già "fuori gioco"?  Perché sparare sulla croce rossa?
 Le ragioni, o meglio gli indizi li dobbiamo cercare dentro la stessa lettera, in primo luogo, e poi vedere se qualcosa del contesto storico-politico del tempo ci offra qualche altra indicazione.
 Che vi siano quelli sempre pronti a saltare sul carro dei vincitori, non ci sorprende. E' un comportamento che ha molti riscontri in diverse epoche storiche.
Quindi che alcuni, vista la diffusione che il cristianesimo cominciava ad avere, siano diventati "entusiasti" predicatori di questa nuova dottrina, magari più per quello che questo poteva comportare in termini di riconoscimento sociale che per la fede in Cristo, lo possiamo comprendere. Anche nel nostro tempo ci sono persone che non sanno neppure quanti sono i Vangeli, che però, puntualmente, si fanno fotografare vicino al presepe in difesa dei "sacri valori cristiani".
 Ma perché inveire contro una persona in isolamento? Per quale malvagia considerazione accanirsi contro chi già è costretto da condizioni di dura segregazione?

Per provare a rispondere a questa questione, vi chiedo di seguirmi nella lettura di un passaggio della stessa epistola al capitolo 3 dai versetti 2 a 11
  guardatevi dai cattivi operai, guardatevi da quelli che si fanno mutilare; 3 perché i veri circoncisi siamo noi, che offriamo il nostro culto per mezzo dello Spirito di Dio, che ci vantiamo in Cristo Gesù, e non mettiamo la nostra fiducia nella carne;
 4 benché io avessi motivo di confidarmi anche nella carne. Se qualcun altro pensa di aver motivo di confidarsi nella carne, io posso farlo molto di più;
 5 io, circonciso l' ottavo giorno, della razza d' Israele, della tribù di Beniamino, ebreo figlio d' Ebrei; quanto alla legge, fariseo;
 6 quanto allo zelo, persecutore della chiesa; quanto alla giustizia che è nella legge, irreprensibile.
 7 Ma ciò che per me era un guadagno, l' ho considerato come un danno, a causa di Cristo.
 8 Anzi, a dire il vero, ritengo che ogni cosa sia un danno di fronte all' eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho rinunciato a tutto; io considero queste cose come tanta spazzatura al fine di guadagnare Cristo
 9 e di essere trovato in lui non con una giustizia mia, derivante dalla legge, ma con quella che si ha mediante la fede in Cristo: la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede.
 10 Tutto questo allo scopo di conoscere Cristo, la potenza della sua risurrezione, la comunione delle sue sofferenze, divenendo conforme a lui nella sua morte,
 11 per giungere in qualche modo alla risurrezione dei morti.
 La ragione interna, che troviamo nella lettera sta nel fatto che Paolo indica la via cristiana come quella scandita dal rapporto tra croce e resurrezione, quella via che percorre la tensione esistenziale tra due realtà mai completamente risolte in questa vita. Siamo sì vincitori in Cristo, ma questo non attenua il nostro difficile cammino che passa talvolta anche per il nostro Golgota.
Paolo contrasta ogni possibile eresia di teologia della gloria o della prosperità.
Se qualcuno ha compreso che la fede cristiana è semplicemente una fede del successo, del trionfo, del guadagno, deve ricordarsi che la Croce è cifra di sconfitta, di perdita.
Una certa teologia del "credi in Cristo" e tutto ti andrà bene, o del miracolo che viene sempre a risolvere ogni difficoltà, deve fare i conti con la "comunione delle sofferenze di Cristo e la conformità a lui nella sua morte".
 Non solo, ma Paolo, con un linguaggio forte anche da un punto di vista della retorica, parla di tutto ciò che per lui è adesso divenuto zavorra, anzi spazzatura, e tra queste cose mette la circoncisione e la giustizia che sta nella Legge.
 Ora che Paolo volesse dichiarare la fede ebraica, in quanto tale, finita o completamente decaduta è oggetto di un forte dibattito nel nostro tempo (New Quest in Paul's theology) . Una cosa però è certa, esiste sicuramente una versione dell'ebraismo che mette la sua fiducia nella Legge, che non è compatibile col messaggio della grazia evangelica.

Oggi noi diremmo che c'è perfino una versione legalista del cristianesimo che non è compatibile col messaggio della giustificazione per grazia mediante la fede, e che quindi la questione non è l'ebraismo in sé ma la sua versione volgare, o comunemente accettata.
 E' chiaro che queste parole che abbiamo lette, in quel contesto storico, contribuiscono a segnare la rottura tra la comunità cristiana da quella ebraica di origine.
 "A proposito della rottura tra cristiani e mondo ebraico ricordiamo che gli ebrei al di fuori del mondo palestinese, nella diaspora, erano arrivati ad un compromesso con Roma sulla spinosa questione del culto dell'imperatore. Il compromesso consisteva nell'affermare che gli ebrei, monoteisti ferventi, potevano esimersi dal pregare l'imperatore perché pregavano per l'imperatore, pregavano il loro Dio perché favorisse l'imperatore. In questo modo il giudaismo era stato dichiarato una religio licita, un culto ammesso"  (Comolli pp. 15-16).
 Ora un cristianesimo che recida i suoi legami con l'ebraismo, rischia la persecuzione imperiale, e potrebbe essere proprio questo il motivo per cui Paolo si trova in carcere.
 Ora, dunque, quelli che gli causano ulteriori pene, non sarebbero delle persone semplicemente malvagie, ma dei cristiani impauriti, che temono di divenire anche loro oggetto di persecuzioni.
 Se alcuni si erano avvicinati al cristianesimo perché ne intravvedevano qualche vantaggio e se capiscono che questo atteggiamento "teologico" di Paolo, genera rischi anche per loro, hanno le loro "buone ragioni" a prendere le distanze da lui, malgrado egli sia già in pena a causa di un carcere sicuramente duro.
 Fin qui siamo sul terreno delle ipotesi, plausibili, ma pur sempre ipotesi.
Ciò che invece è certo e sorprendente è la straordinaria generosità di Paolo.
Egli avrebbe avuto tutte le sue buone ragioni  per scagliarsi con veemenza contro costoro. Essi mostrano mancanza di coraggio, mancanza di umana sensibilità e mancanza di lucidità teologica. Avrebbe potuto dire anche di costoro quel che disse di certi Galati giudaizzanti: "Si facciano pure evirare quelli che vi turbano" (Galati 5,12).
Ma qui prevale un sentimento di generosità che sbalordisce.
 18 Che importa? Comunque sia, con ipocrisia o con sincerità, Cristo è annunziato; di questo mi rallegro, e mi rallegrerò ancora;
 Questa considerazione di Paolo è una perla evangelica.
Un uomo in catene a causa della sua coraggiosa predicazione del Vangelo della libertà, viene denigrato da persone che dovrebbero piuttosto essere suoi collaboratori, e non reagisce, ma manifesta una incrollabile fiducia nel Vangelo che è in grado di farsi strada da solo, perfino contro le intenzioni di chi lo predica indegnamente.
 Permettetemi un'ulteriore licenza: mi immagino che se c'è un luogo in cui Paolo abbia potuto scrivere quel poema sull'amore che poi inserisce nella Prima Lettera ai Corinzi al capitolo 13, sia proprio qui, in questi frangenti.

Cosa concludere da questa pagina?
Cosa possiamo azzardare per il nostro tempo?
 Direi, in sintesi, che qui troviamo espresso il bisogno di una fede al tempo stesso coraggiosa e generosa.
Abbiamo bisogno di una fede coraggiosa, nella capacità di non farci sconti, e di analizzare la cultura, anche quella religiosa del nostro tempo, senza irenismi e con grande lucidità teologica. Gli idoli non sono solo quelli pagani, ma spesso si ammantano di cristianesimo trasformato in nuova ideologia del secolo. Alcuni predicano un vangelo imperiale.
Ma il coraggio di cui abbiamo bisogno, non deve trasformarci in persone rancorose, piene di livore, implacabili verso quei nostri fratelli che mostrano di essere pavidi e talvolta perfino opportunisti.
 Possiamo farlo, perché, come l'apostolo, anche noi godiamo del sostegno spirituale e umano di tante persone della nostra chiesa, che pregano per noi e non ci fanno mancare una parola buona.
 Coltiviamo perciò anche la virtù della generosità, che sa coltivare una incrollabile fiducia nella azione dello Spirito di Dio.
 Chi aveva sperato che finita la campagna elettorale finisse anche il livore che l'ha scandita, deve ricredersi. Continuano a voltare  stracci, e le accuse reciproche continueranno ancora per molto.
Tutti contro tutti. Ciascuno, vinto o vincitore che sia, alla ricerca della propria vendetta.
Il nostro Paese sta vivendo una spaccatura profonda che non lascia presagire nulla di buono.
 In questi frangenti ci vogliono cristiani coraggiosi e generosi, che non si facciano rubare la loro gioia neppure dal più dispotico dei carcerieri.
 Continuiamo ad essere testimoni dell'Evangelo, non ci scoraggiamo. Accettiamo anche di divenire "conformi alla sua morte, per giungere in qualche modo, alla resurrezione dei morti".