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Il Miracolo dopo il miracolo

Testo: Luca 5 1,11

Desidero proporvi una meditazione in tre tappe.
La prima che riguarda quanto accade in questo racconto evangelico, prima del miracolo.
La seconda di quanto accade col miracolo e la terza, decisiva a mio avviso, di quanto accade dopo il
miracolo.
Prima del miracolo: la folla, i pescatori e Pietro.
Gesù è sulle sponde del Lago di Gennesaret. Egli viene raggiunto, e accadrà molte volte durante il suo ministero di predicazione, da una folla affamata. In questo caso di una fame di parole di verità, ma anche affamata di guarigione e di salute psicofisica, come diremmo noi oggi.
Essi, dice il testo, vanno da lui, per udire la Parola di Dio. Dunque si tratta di una folla motivata in senso religioso. Indubbiamente la personalità e la fama di Gesù avranno avuto la loro influenza nell'attrarre tanti. La folla a questo punto non è meglio definita: non sono giudei come quelli che accorrevano al battesimo di Giovanni il battista, e neppure semplicemente dei pagani. Il termine generico vuole essere inclusivo. Deve esserci stato di tutto un po’. E anche nelle motivazioni dell’ascolto della Parola di Dio, doveva esserci un grado di consapevolezza diverso. Infatti il testo osserva che la folla era scomposta. Si accalcavano intorno a Gesù. E lo spingevano. In tal modo era difficile se non impossibile parlare a tutti loro. Evidentemente le spinte ad avere una risposta individuale doveva essere più forte di un comportamento comunitario. Gesù evidentemente si sposta ancora verso la riva del lago, quanto meno per avere le spalle coperte.
Senza allegorizzare, possiamo riconoscere qui la descrizione, con poche pennellate narrative
dell'evangelista, del bisogno religioso della massa. E’ davvero spirituale? Oppure è animato da ragioni utilitaristiche e dal bisogno di un beneficio immediato e anche individualistico? C’è un po’ di tutto. Il fenomeno religioso, in senso lato, è sempre complesso e si rischia di banalizzarlo, ora assolvendolo come un fenomeno sublime dell’anima umana, ora come un istinto incorreggibilmente idolatrico. Le cose sono mescolate.
L’unica cosa che mi permetto di aggiungere al testo, fino a questo punto, come mia interpretazione, è che in questi primi versetti, noi siamo chiamati a riconoscerci/identificarci come parte della folla. Ci avviciniamo sempre di più a Gesù. Vogliamo ascoltare la Parola di Dio. Ma siamo spiritualmente
scomposti, forse perché ancora non siamo in grado di dire cosa veramente vogliamo da Lui e di
comprendere cosa Lui vuole da noi. O forse persone diverse vogliono cose diverse.
Gesù a questo punto vede due barche ferme a riva e da esse i pescatori che erano smontati e lavavano le reti. A questo gli viene un’idea. Probabilmente avvalendosi del tratto di costa frastagliato, con piccole insenature, che potevano creare un effetto anfiteatro, pensa che montare su una di quelle barche, scostandosi un po’ dalla riva, gli avrebbe permesso di superare la concitazione della ressa e di rivolgersi alla folla per impartire ad essa un insegnamento.
Aveva davvero bisogno di una barca, Gesù? Non avrebbe potuto galleggiare sull’acqua, come ci raccontano altri passaggi evangelici? Quanto più efficace sarebbe stata la sua predicazione se si fosse accompagnata ad un gesto simile. Il testo sembra indicare il bisogno di Gesù di essere aiutato a svolgere la sua missione. Strano.
Così come è strano che Gesù non chieda il permesso a quegli uomini, proprietari delle barche.
Egli monta sulla barca che era di Simone. Il dettaglio appare di nessuna importanza a questo punto nella economia del racconto. Che rilevanza può avere che la barca fosse la sua o di qualcun altro? Egli mostra di non conoscerli. Eppure il riferimento è decisivo.
Pietro avrebbe potuto dire qualcosa. Avrebbe potuto opporre un diniego cortese e giustificato. “Siamo appena sbarcati. Abbiamo da rassettare le reti. Non è questo il momento. Magari più tardi”. Oppure, conoscendone a posteriori il carattere e sapendo quanto era successo quella notte, avrebbe potuto dire: “Dopo una notte così ci voleva solo un predicatore invadente. Scusa ma non ti hanno insegnato a chiedere il permesso nella tua religione?”. Il testo lascia solo intendere che essendoci due barche, se Pietro avesse opposto resistenza, Gesù avrebbe potuto tentare con la seconda.
E’ qui, ancora prima del miracolo, che il testo conosce una sua prima torsione. Da un insegnamento
per tutti, il testo si trasforma in una chiamata per una persona.
Questa chiamata ha due momenti. Il primo in cui Gesù chiede a Pietro stesso di spingere la barca un
po’ lontano dalla riva. Dunque Pietro deve distogliere la sua attenzione da quel che stava facendo per facilitare la predicazione del maestro. La seconda quando Gesù si rivolge, evidentemente dopo la predicazione, direttamente a lui.
Dopo aver invaso lo spazio fisico di Pietro, montando sulla sua barca, Gesù adesso entra nel suo spazio spirituale, intimo. “Prendi il largo e gettate le reti”.
Qui l’alternanza tra singolare e plurale, è deliberata. Intreccia due dimensioni di questa chiamata. Essa è personale, ma non individuale. Riguarda in primis Pietro, ma poi si estende ai suoi soci.
“Gettare le reti?”. Ma è un comando insensato! Si pesca di notte e la pesca è stata infruttuosa. Il testo non ci descrive nei dettagli lo stato d’animo di Pietro. Lascia a noi di interpretarlo. Ed evidentemente, ognuno lo di noi lo fa a partire dal proprio. Potrà essere di frustrazione. In fondo faceva parte degli incerti del mestiere. Capitava. Certo non faceva piacere aver trascorso una notte insonne e di fatica senza aver preso nulla. Ma in fondo è meglio di un contadino che dopo aver zappato e seminato una terra difficile, si vede, al momento del raccolto, distrutto il frutto del suo lavoro da una nuvola di cavallette.
O forse no. Forse qui l’autore lascia lo spazio perché noi possiamo aggiungere alla frustrazione anche l’amarezza e la delusione di una vita intera. Così che la pesca infruttuosa è la prova dell’insuccesso, del fallimento. Si tratta di una sensazione che può essere terribile.
Una donna che si trova abbandonata dal marito, dopo aver avuto con lui dei figli e costruito con lui un progetto anche di molti sacrifici. E tutto viene inficiato da un capriccio, da una sbandata. O magari una madre o un padre anziani che si sentono abbandonati dai propri figli che hanno cresciuto col massimo della dedizione. Essi continuano ad amarli, ma sono profondamente delusi da loro e fanno perfino fatica ad ammetterlo. Oppure un imprenditore che ha messo su la sua ditta individuale, con grande impegno e professionalità e sacrificio e, sull’onda della crisi vede sgretolarsi tutto il suo progetto ed è costernato per questo suo fallimento.
Ecco solo degli esempi che raccontano queste reti vuote e il sentimento di costernazione di Pietro.
E adesso arriva il predicatore che non ha mai pescato neppure un pesce in vita sua, che osa rivolgere
un comando che appare categorico. Pietro avrebbe potuto negare il permesso a Gesù di montare sulla sua barca e ancor di più avrebbe potuto rifiutare di seguire il consiglio-comando. La ragione? E’ irragionevole, fondato sulla incompetenza, e infine, oggi non è proprio la giornata!
Qui è evidente il carattere didascalico: la storia della fede rischia di bloccarsi, se non c’è un momento di obbedienza, o come preferisco dire, se non c’è una resa alle possibilità di Dio.
Il momento della fragilità, della delusione, della sconfitta, della frustrazione (decidete voi cosa volete metterci), non è il momento di tirare i remi in barca. Dio rilancia la sua partita con la vita per noi, ma è nostro compito decidere se vogliamo che questo dolore ci chiuda a riccio alla vita con risentimento, o piuttosto se vogliamo lasciarci attivare per nuove decisioni.
“Secondo la tua parola”: la fede nasce come un atto di obbedienza. E’ quando decidiamo che non
possiamo darci da soli una spiegazione di quel che ci è capitato, che possiamo diventare più arrendevoli alla volontà di Dio.
Ed eccoci al secondo momento della nostra storia. Quello del miracolo. Tutto viene raccontato con
poche parole. Qui che il testo vuol dirci che benché quella non fosse l’ora, né il luogo più adatto per fare una pesca significativa, accadde qualcosa di strabiliante.
Le reti si riempiono in un attimo. Addirittura si rompevano per l’abbondanza di pesce. E le barche presto riempite, per poco affondavano. E’ l’effetto della Grazia. Essa è straripante. E’ sovrabbondante. Se non è così, non è Grazia. Se non viene riconosciuta come una forza che non può essere in alcun modo arginata, non si comprende il carattere dell’amore di Dio che la grazia rappresenta.
E qui c’è un altro dettaglio che richiama la nostra attenzione: Pietro chiede collaborazione a quelli
dell’altra barca. Vi ricordate quanto ho detto prima? La chiamata è personale, ma non individuale.
Riguarda Pietro, ma coinvolge da subito altre persone. La grazia ci chiama ad essere partners, a
metterci in relazione con altri operai. Il miracolo è straordinario.
Scusate, ma a questo punto della storia, non posso non raccontare un episodio che è capitato a me e ad Anna, tanti anni fa.
Eravamo a Napoli e avevamo ospiti due pastori svedesi. Facemmo con loro una bellissima passeggiata dalla collina del Vomero, scendendo verso il mare. Una passeggiata, per me, di una bellezza straordinaria. Scale, stradine, case di gente piuttosto povera, e poi, all’improvviso un panorama mozzafiato: il mare, il Vesuvio, Sorrento di fronte e Capri sulla destra. Giunti che fummo sulla costa, davanti al Castel dell’Ovo e al Borgo Marinaro, eravamo stanchi, ma soprattutto accaldati. Perciò portammo i nostri amici a sederci ad un bar propria nel piccolo porto turistico in cui sono attraccate molte barche. A quel punto non c’era niente di più rinfrescante di una buonissima granita di limone. Eravamo lì a goderci il fresco e la bellezza del luogo, quando sentimmo delle grida venire da una barchetta dove c’erano dei ragazzi che facevano il bagno. Nel frattempo l’acqua sembra che stesse “friggendo”. Cosa stava accadendo? Il piccolo bacino era letteralmente pieno di pesce che saltava dall’acqua. Qualcosa di inaudito. Il proprietario del bar, mise un secchio nell’acqua e lo tirò su pieno di pesce. Così, in un attimo, davanti ai nostri occhi sbigottiti.
Eravamo stupefatti. E anche i nostri amici svedesi avevano gli occhi di meraviglia e di interrogazione. Cercando di far finta di nulla, dissi, sorridendo, qualcosa tipo: “Eh sì qui a Napoli siamo poveri, ma il mare è davvero ricco di pesce”. In verità tutti quelli che erano lì dissero che non avevano mai visto una cosa simile. Solo più tardi ci fu data una spiegazione plausibile. Probabilmente nelle vicinanze doveva esserci qualche grosso pesce, forse un delfino. E i pesci più piccoli presi da spavento erano entrati tutti nel porticciolo per trovarvi riparo. Finendo così in una trappola. Tanto pesce, nel posto sbagliato e decisamente fuori orario.
Veniamo adesso alla terza parte. Dopo il miracolo.
Pietro, vedendo l’accaduto, si gettò ai piedi di Gesù e disse: “Signore, allontanati da me perché sono
un peccatore”. E’ una frase impegnativa. “Kurios” è il termine usato dal testo originale che
accompagnato da questa postura, rende la frase espressione di un atto di culto e di fede. La reazione è quella dell’uomo davanti alla teofania, la manifestazione di Dio. Egli non può reggere la santità di Dio. “Io sono un uomo dalle labbra impure” aveva confessato Isaia (6) nel giorno della sua grande visione di Dio assiso sul suo trono. Ecco, sembra esserci qui lo stesso motivo.
Qui sembra che abbiamo raggiunto l’apice delle storia. Il riconoscimento della divinità di Gesù e la sua adorazione. Davanti a lui “ogni ginocchio si piegherà e ogni lingua confesserà che Gesù è il
Signore” così si esprimeva una delle prime confessioni di fede della chiesa riportata da Paolo. E la paura che prende Pietro e gli altri discepoli, di cui adesso si fanno i nomi, Giacomo e Giovanni.
Ma, sorpresa nella sorpresa, il testo va oltre. Il meglio deve ancora venire.
Gesù non indugia minimamente sul senso di (giusta) inadeguatezza di Pietro, né sulla sua paura. Anzi Gesù lo esorta, li esorta, a non aver paura. E pronuncia le parole decisive del testo: “da ora in poi tu sarai pescatore di uomini!”. Ecco tutto quel miracolo, in verità era stata una parabola. Il significato dell’evento stava fuori dall’evento stesso. L’insegnamento riguardava la chiamata al discepolato. La pesca miracolosa ha un valore soltanto di transito. Deve traghettare Pietro e i discepoli, verso la comprensione della loro chiamata. Il compito è anche promessa: così sarà con le persone. Penserai mille volte di non aver cavato un ragno dal buco. E quante volte sarai frustrato e forse deluso dal tuo compito. Ma non demordere, getta ancora le reti, perché il Signore darà una svolta alla tua missione proprio quando tu pensavi che era tutto finito.
Notare ancora il plurale: “ed essi, tratte le barche a terra, lasciarono ogni cosa e lo seguirono”. Ancora una volta era la chiamata di Pietro, ma anche di altri discepoli con lui.
Che storia fantastica ci ha trasmesso l’evangelista! Si parte dalla folla. Noi che ascoltiamo la parola di Dio. E non sappiamo ancora cosa vogliamo veramente da Gesù. Per passare per Pietro, la sua
giornataccia, ed il senso di fallimento provvisorio o definitivo che abitava nel suo cuore in quel giorno.
Per arrivare ad una azione di Dio che riapre la storia, quando questa, una volta ancora, sembra essersi cacciata in un vicolo cieco. Per poi coinvolgere con Pietro i suoi soci e collaboratori.
Siamo condotti per mano davanti alla nostra vocazione e alla nostra missione, come uomini e donne e come comunità.
Ci sono tutti gli ingredienti essenziali di cui abbiamo bisogno: l’obbedienza alla Parola. Non basta
ascoltarla, bisogna metterla in pratica, anche quando ci appare insensata. Per poi condurci davanti alla meraviglia della Grazia, che straripa, sovrabbonda. Una Grazia che ci fa diventare collaboratori nel campo di Dio, lavoratori della sua vigna.
E questo percorso si accompagna con delle domande: cosa siamo disposti a mettere a disposizione del Signore? Che cosa facciamo delle nostre risorse? Che uso facciamo dei nostri soldi e delle nostre risorse materiali e intellettuali.
Vediamo questo mondo venire giù a pezzi. Vediamo la nostra società e la nostra democrazia sfaldarsi. Chi dovrebbe tutelare la legge, che si tratti di giudici o di forze dell’ordine, sovente abusa del suo potere. Molti politici tacciono, per vedere da che parte va il vento. Sui “social” leggi di gente che commenta i fatti di Santa Maria Capua Vetere, inneggiando a spedizioni ancora più punitive. La frustrazione si fa amarezza e ti chiedi: ma a cosa è servita la resistenza, la costituzione, lo stato di diritto, le leggi che tutelano i più deboli?
E’ la risposta sta qui, in questa fantastica storia piena di evangelo. “Prendi il largo e getta nuovamente le reti”. Lascia che Gesù monti sulla tua barca, che si metta alla guida della tua vita. E preparati a vedere quello che ancora non avevi mai visto. Egli fa così coi pesci. Ma soprattutto fa così con gli esseri umani.
Lancia la sua trappola d’amore, non per uccidere, ma per dare vita, non per soffocare, ma per farci
finalmente respirare l’aria nuova della libertà.
Mi sembra di vederli, Pietro, Giacomo e Giovanni, mentre lasciano le loro barche, le loro reti e il loro pesce, sulla riva e non si voltano indietro. Quello che il Signore ti da’ è infinitamente di più di quel che lasci.