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Il seme che cresce da solo

Per parlare del Regno di Dio, Gesù fa uso di parabole, talvolta perché non c'è un'altro modo di parlare del Re­gno, perché è una realtà "così misteriosa che può essere procla­mata soltanto attraverso dei modi letterari" a quelli che "vogliono ascoltare".  Nella nostra parabola e in quella collegata del granello di senape, il tema è la crescita del seme che è il Regno di Dio senza l’intervento del seminatore. Il seme cresce apparentemente da solo anche se è implicito l’intervento indiretto di Dio che ha disposto in questo modo l’ordine della creazione perché avvenga in modo spontaneo e naturale la crescita.

Il Tema della Crescita: La semina è un evento quotidiano nel mondo contadino della Palestina di Gesù.  L’inattività del seminatore che si limita a gettare il seme e poi ad attendere, serve ad indicare il miracolo quotidiano dell'azione divina, del suo frutto salvifico spropor­zionato se lo paragoniamo all'attività umana.  Il centro della parabola non è la semina, ma il raccolto finale, non è l'azione dell'uomo, ma la risposta di Dio.  In questa maniera, Gesù insegna un modo di essere e di pen­sare, insegna la logica divina alla quale dobbiamo aggiustare le nostre pretese e attese.

Gesù parte dalla situazione vitale degli ascoltatori, li prende nel luogo dove essi si trovano, per prenderli e deporli all'entrata del Regno, dove la logica umana viene travolta, da che cosa?  Da un fattore nuovo e sorprendente, dall'azione divi­na, la quale dobbiamo accettare se vogliamo entrare nel Regno e diventare strumenti di quel Regno.  Il Regno di Dio è innanzitut­to la semenza, e non il seminatore, ma non solo, è anche e so­prattutto il raccolto sproporzionato finale.  Solo quando scocca l'ora del raccolto intravediamo compiuto l'obbiettivo divino, il suo Regno che è salvezza, benedizione, salute e pienezza dell'umanità in Dio è raccolto con un’abbondanza esuberante e inattesa. Nel mentre colui che semina e poi raccoglie alla fine deve soltanto attendere pazientemente.

Nella semenza però, il Regno è già presente. Il contadino ha un doppio compito, interviene in solo due momenti dell’azione descritta come crescita spontanea sotto lo sguardo e la benedizione di Dio. In primo luogo semina, e possiamo avvicinare il testo alla nostra situazione insinuando come il nostro compito verso il Regno di Dio che viene consiste in seminare la semenza nei diversi terreni che sono gli esseri umani. Se non vi è raccolto o se questo è scarso, si deve anzitutto alla mancata semina o all’opposizione spiccata che il Regno trova nelle persone alle quali è annunciato il Vangelo, usando anche per questa parabola il simile della semina come predicazione o evangelizzazione. La seconda azione consiste nel raccolto finale, quando il frutto è già maturo il seminatore diventa mietitore e il raccolto non è un merito suo, frutto della sua fatica ma il risultato dell’ordine della creazione, dell’insieme di elementi che rendono fertile il suolo e svegliano il seme perché cammini fino a diventare pane, olio, vino o qualunque altro frutto necessario alla vita. Si sottolinea nella parabola che dopo aver gettato il seme, il contadino attende con pazienza perché il seme “senza che egli sappia come”, germoglia e cresce.

Il miracolo avviene da sé, (centralità del termine automáte) la semenza cade nella terra, “muore” secondo quello che pensavano gli antichi, per risuscitare poi, la terra da sé è buona da compiere per il seme la risurrezione e la moltiplicazione. La semina è quanto Dio necessita per compiere il miracolo della crescita moltiplicata al cento per uno, questo altro non è che la meraviglia della grazia.  Dio è all'opera in ogni seme, ci possono essere ostacoli o difficoltà alla crescita, essa non è immediata, non avviene subito ma al tempo dovuto, ma la crescita avviene da sé, vale a dire senza l’intervento ulteriore dell’uomo. L’Apostolo Paolo utilizza un simile che somiglia molto alla parabola del seme che cresce ad opera di Dio. In 1 Corinzi 3,6-7 dice: “Io ho piantato, Apollo ha annaffiato, ma Dio ha fatto crescere; quindi colui che pianta e colui che annaffia non sono nulla: Dio fa crescere!” Anche in questo simile (catena di metafore) il punto focale è la crescita che è sempre e comunque un’opera di Dio, per cui l’opera umana non aggiunge nulla. La crescita del seme per il raccolto finale appartiene alla determinazione divina, al suo piano di salvezza che si sviluppa nella storia umana. I corinzi con le loro divisioni stanno in realtà ostacolando la crescita che Dio opera. Per questo è tanto importante l’esortazione a non porre ostacoli con i nostri atteggiamenti sbagliati all’operare divino. In questo testo paolino troviamo un esempio dell’importanza pedagogica delle parabole che possono essere applicate a contesti completamente diversi di quelli originari.

Il tema dell’attesa: La nostra parabola insegna l'idea che il Regno di Dio è interamente un’opera divina.  A noi tocca una sola cosa, seminare la parola e aspettare la crescita del seme, che in maniera misteriosa rea­lizza Dio stesso.  Gli esseri umani non possiamo fare nulla per precipitare l’arrivo del Regno, né costruirlo, né affrettare il suo arrivo.  Da parte nostra basta una sola cosa, non impedire la sua crescita con op­posizione od ostilità, imparare la scienza della calma attesa dell’opera divina, che di notte mentre il contadino dorme, e di giorno mentre si dedica a tutte le incombenze del vivere, fa crescere il seme gettato nella buona terra. Gesù insegna ad avere la pazienza del contadino che aspetta con tranquilla e serena pazienza, ciò che è sicuro Dio farà.

Il tem­po di Dio e il tempo dell'essere umano sono in contrasto.  Per noi il tempo è uno squarcio, una parentesi, ciò che noi percepia­mo del Regno è limitato da questa nostra transitorietà temporale e spaziale.  Il tempo dell'attesa della crescita del seme è il nostro tempo, quando tutto ciò che possiamo sapere è che il seme del Regno è presente nella storia e nel tempo, ed è presente in noi e nella chiesa.  Con infinita pazienza, partendo da questo dato della fe­de, e con tanta umiltà bisogna cominciare a costruire le proprie vite nel tempo, il mio campo è il mio tempo dove il seme è stato piantato.  Partendo da questa disponibilità e apertura all'azione di Dio che comprende tutto il tempo, e non solo lo squarcio di tempo della mia esistenza, la nostra risposta alla promessa divi­na eterna in questo tempo e spazio aiuta alla crescita del seme, che non dipende complessivamente da noi, dalla nostra abilità o merito, ma dall'azione divina, ma dipende in questo squarcio dal­la nostra disponibilità, che durante tutta la nostra vita, il no­stro tempo, questo seme cresca continuamente in noi.