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Il sacrificio di Isacco

Il capitolo 21 racconta la nascita di Isacco e la cacciata di Agar e Ismaele dall’accampamento, e si conclude con il patto di alleanza tra Abramo e Abimelec. Come conclusione del capitolo 22 abbiamo al vs. 14 la nomina del luogo e il 15-18 tratta del rinnovamento della promessa “non mi hai negato il figlio, l’unico”.

Per l’analisi della struttura narrativa è ancora utile Von Rad, Il sacrificio di Abramo (Brescia, Morcellina 1977), molto belle le considerazione di Brueggermann, Genesi (Torino, Claudiana, 2002).

L’origine della prova (nasah non dimentichiamo che questa parola significa anche tentazione) di Abramo di offrire in olocausto il figlio Isacco, pone un serio problema su cui anche il NT ha riflettuto (due esempi in Giacomo e in Ebrei). Il testo è polisignicante, può avere molte letture legittime, ad un certo momento occorre formulare un’ipotesi esegetica che decida la strada da percorrere. Avanziamo tre ipotesi. Nella prima al centro vi è la prova stessa o la tentazione al patriarca. Isacco era la risposta alla promessa divina, la “prova” è riferita dunque al dubbio sulla capacità divina di rispondere alle sue promesse, il problema astratto è stato trasformato in “narrazione o racconto”. Il problema in realtà è il rapporto tra Dio e il credente, tra la promessa fatta da Dio, la discendenza di cui Isacco è garanzia, e la “prova” che consiste nel sacrificio dell’unigenito. Secondo, il sacrificio di Isacco è istanza apologetica contro le pratiche di alcuni popoli cananei, si tratta di denunciare una pratica e la sospensione dei sacrifici umani, Dio provvede la sostituzione della vittima, vi è un rapporto essenziale tra prova e provvidenza, Dio non prova ma provvede.  Ancora come terza ipotesi si tratta di stabilire la fondazione di un santuario, l’ipotesi di Moira come la collina di Gerusalemme dove sorgerà il tempio di Gerusalemme . Cf. W. Brueggermann, , pp. 230-232. Un altro approccio interessante potrebbe essere studiare l’intera questione dalla prospettiva dell’intervento angelico (dal capitolo 18 al 22). Oggi alcuni autori ebrei leggono il sacrificio di Isacco dalla prospettiva della Shoah, e vedono qui un simbolo teologico forte della prima insinuazione del genocidio del popolo ebreo. Alcuni autori cattolici ora leggono il “sacrificio sospeso” e completato dal sacrificio di Gesù (la messa abramitica come anticipo della messa eucaristica). A me ha sempre impressionato “il silenzio di Abramo”. No, non abbiamo fra le mani un testo facile.

Il testo è strutturato da tre chiamate (Bruggermann). Dio chiama Abramo che risponde “eccomi”, e chiede il sacrificio del bambino nato in circostanze a dir poco miracolose. Abramo risponde senza esitare e inizia il viaggio mesto verso le nebbie di Moira. La domanda sconvolgente riguarda chi sia questo Dio che chiede (esige?) il sacrificio del figlio che egli stesso ha dato e che significava l’adempimento delle sue stesse promesse ad Abramo. Questa anti-chiamata sembra invalidare la chiamata iniziale a lasciare Carran e i suoi dei molteplici dai connotati feroci. La nebbia avvolge il luogo indicato che è visibile da lontano, questa montagna avvolta nell’offuscamento del mito accompagna la storia umana. Dio sembra regredire alla stessa altezza di quelle divinità pagane cananee, il Moloch dei moabiti o il Melkar dei fenici che esigono il sangue del primogenito. Abramo obbedisce senza domande, il suo silenzio è l’atteggiamento del credente che non esita. L’interrogativo è su questo Dio che si rimangia la risposta alle sue promesse, che agisce contro se stesso. L’antichiamata di Beersheba ha però un connotato sfuggente, l’accurata preparazione del viaggio e la mancanza di domande del patriarca non può nascondere lo sconcerto interiore e il dolore del padre che deve sacrificare quanto di più caro possiede, notate il versetto 2 “tuo figlio, il tuo unico, colui che ami e vai”, questo vai dobbiamo relazionarlo con la chiamata a lasciare la sua città (Gen 12) “verso un luogo che io ti indicherò”. Si parte, questa è l’unica certezza, in uno e nell’altro caso senza sapere dove si arriverà. Il viaggio, un’Odissea alla rovescia avviene senza incidenti, il luogo è visibile da lontano e Abramo si dirige alla montagna indicata lasciando i servitori ad attenderli.

La seconda chiamata è l’interrogazione del figlio e anche ora Abramo risponde senza esitazione “eccomi”, questa è la caratteristica della fede di Abramo, egli risponde sempre. Il bambino porta la legna e Abramo il fuoco e il coltello. La domanda del bambino è ingenua “dov’è l’agnello per il sacrificio”. La risposta ora è per me il centro della narrazione, il punto focale scelto, fra tutte le opzioni possibili. Questa risposta è il paradigma della fede secondo l’interpretazione di Paolo in Romani. Abramo risponde “Dio provvederà” ra-ah (che significa come sapete anche vedere), il vedere divino consiste nel prevenire il nostro bisogno, nel provvedere a quello che ci manca. In questo senso la risposta sembra evidente, manca una vittima Dio provvederà, ma noi sappiamo che invece la vittima programmata è il bambino. Cosa sanno in quel momento della previsione e provvidenza divina i due personaggi del racconto? Abramo sa che la vittima è il figlio, Isacco ora pensa che la vittima, qualunque essa sia, sarà provveduta da Dio. Dio vede oltre e più in là. All’inizio del racconto sembrava che Dio volesse riprendersi il dono che aveva fatto ad Abramo, il figlio e con lui la speranza della numerosa discendenza. A questa altezza del racconto la prova sembra configurarsi come attesa da parte di Abramo e di Isacco, Dio dà e Dio riprende, mi ridarà il figlio, come suggerisce l’interpretazione di Ebrei 11, o Dio ci farà trovare la vittima necessaria. Giunti al luogo del sacrificio si rompe l’indugio, sopra l’altare come capro espiatorio, legato e con la gola scoperta si trova il ragazzo. Questa scena è sconvolgente e terrificante.

Ma ora abbiamo la terza chiamata. L’angelo ferma la mano di Abramo, mentre il coltello ha descritto la curva per colpire la gola inerme del bambino. Dobbiamo notare l’importanza di questo testo e la sua collocazione teologica nell’insieme della storia dei patriarchi. L’angelo chiama Abramo dal cielo per la sospensione del sacrificio, c’è un sostituto, Dio ha provveduto ad una sostituzione. L’angelo appare in questo senso come portatore della provvisione divina e della rassicurazione di Dio: a Dio non gli è indifferente la nostra situazione. Il testo era iniziato con la chiamata di Dio stesso e la richiesta dell’olocausto, si chiude con l’intervento dell’angelo portatore della sospensione del sacrificio. Il sacrificio del figlio rimane “sospeso”, congelato sulla storia umana come segno del pericolo costante di morte a cui siamo tutti siamo sottoposti. Infine il sacrificio di Isacco è metafora del corso della storia umana, come l’uccisione di Abele o che la prima preghiera  di Isacco sia stata fatta incidendo nella carne il segno di Dio, la circoncisione.

La conclusione è rassicurante. Al vs. 13 appare la vera vittima per il sacrificio, un montone e questa liberazione dal sacrificio umano è ricordata come una fase fondante della storia religiosa dell’umanità. Abramo procede dunque al cambiamento di nome del luogo, sarà chiamato Dio provvede il che significa in questo contesto  che Dio vede l’afflizione, il bisogno, ascolta la preghiera e risponde, si tratta di un Dio personale che opera in nostro favore, che ha un disegno o proposito per noi e per il mondo e che lo svolge agendo nella storia attraverso di noi. L’angelo rappresenta in questa dinamica l’intervento divino che a noi sarebbe nascosto se Dio stesso non rivelasse che questa o l’altra azione nascono da un suo intervento.