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Gli angeli nella storia di Giacobbe

In alcuni racconti riguardanti la vita e la storia di Giacobbe e dei suoi figli, troviamo applicate in modo narrativo, quelle che sono le idee teologiche e le diver­se funzioni ascritte agli angeli nei confronti di Dio e degli esseri umani. Secondo uno dei testi centrali di cui siamo partiti la settimana scorsa, Genesi 18, un racconto molto complesso, tre angeli apparvero ad Abramo in forma umana. Il patriarca li ospitò senza accorgersi delle loro vere identità celesti, fino a quando non parlò uno di loro per fare la promessa della nascita di Isacco. Queste apparizioni in forma umana rivelano tratti narrativi imparentati con racconti e tradi­zioni di altre culture. Questo non ci deve sorprendere, anzi ci aiuta a capire un tratto fondamentale delle Scritture: Dio ci parla attraverso gli strumenti narrativi e sociologici della cultura del tempo. Tocca a noi usare gli strumenti necessari per capire oltre le forme letterarie, gli stili narrativi o poetici, quale sia il contenuto di verità rivelata veicolato in questi racconti. La domanda è sempre la stessa, conservare il messaggio di quello che questi antichi racconti rivelano. La maggior parte dei racconti riguardanti gli angeli nelle parti più antiche della Bibbia, si possono classificare come tipici dei  racconti popolari tradizionali, e si modellano su dei motivi ricorrenti nel folklore di molti popoli. Spesso, gli angeli adempiono alcune funzioni, nelle versioni parallele in altre letterature antiche, di esseri spirituali come fate, elfi e anche troll od orchi. Vediamo un esempio di questi rapporti di vicinanza tra racconti. La storia di come Abramo ospitò tre angeli senza riconoscerli, nonché l’annuncio della nascita di un figlio in Genesi 18,1‑10, ha molti paralleli in altre tradizioni, uno quasi identico nel racconto classico di Hyreus di Tanagra, il quale ospitò tre divinità senza saperlo, ricevendo come premio il dono di un figlio, Orion (si veda il racconto latino di questa storia nei Fasti di Ovidio, V: 493‑544).[i]

In Genesi 28 si racconta il sogno di Giacobbe fuggiasco dalla casa del padre, dopo l’inganno per accaparrarsi la benedizione paterna, per paura di suo fratello. Il sogno del giovane vagabondo senza aspettative né futuro acquista un significato fondamentale: egli è l’eletto di Dio, la sua azione fraudolenta che rompeva l’ordine patriarcale, riceve una conferma divina, non è un peccato, una trasgressione che deva essere punita, ma l’attuazione della volontà divina. Il sogno contiene due elementi, uno visivo e un altro auditivo, si tratta in realtà di una rivelazione, ha valore di visione del mondo parallelo accessibile attraverso il sogno. Cosa vide Giacobbe? Anzitutto una scala che partiva dal cielo e giungeva fino alla terra. Fermiamoci un attimo. L'idea che gli angeli viaggino fra il cielo e la terra attraverso una scala, Genesi 28,12, trova dei paralleli molto simili in molti testi funebri egiziani e nella poesia lirica arcaica greca (si veda Pindaro, frammenti 30, 162). Modelli in miniatura di scale erano spesso adagiate nelle tombe egiziane e romane, per facilitare l'ascesa ai cieli dell'anima. Questa abitudine è tuttora presente fra una popolazione del Nepal, i Mangari. Il concetto della scala con sette scalini (seven‑runged) delle anime occupava un posto di primo piano nella religione misterica del Mitraismo, grande rivale del cristianesimo nel terzo e quarto secoli. Sopravvisse nella hagiologia medioevale cristiana, e fu utilizzata da Dante nella sua visione del regno celeste (Paradiso XXI: 7‑10). La mistica cristiana (Santa Teresa di Avila è un esempio) usa l’immagine della scala celeste per parlare delle virtù, ogni virtù (ogni opera buona) sarebbe uno scalino in salita verso la perfezione cristiana e dunque la salvezza. Una leggenda indiana racconta che il Budda scese in terra da una scala a Sankisa dai cieli Trayastrinsi per aiutare gli esseri umani a uscire dalla catena delle trasmigrazioni. Ci interessa ora a questo punto la conclusione del sogno. Giacobbe ebbe paura, la sua reazione è di tremenda soggezione e spavento perché si trova in un Luogo sacro che è porta del cielo e casa di Dio. In effetti chiamerà  quel luogo Bet-el e lo segna versando olio sulla pietra del suo capezzale. Segue poi la formulazione di un voto a Dio, cioè lo stabilimento di un’alleanza tra Dio e il giovane fuggiasco, Dio si impegna a proteggerlo e lui a serbare la devozione paterna (di Abramo e di Isacco)  a questo Dio che lo segue nel suo esilio. Gli angeli saranno per Giacobbe quello che la rivelazione diretta fu per Abramo (e in maniera più ridotta per Isacco).

In Gen 31,11 un Angelo di Dio parla in sogno a Giacobbe per dirgli che i tentativi di Labano di frodargli i suoi guadagni verranno vanificati. L’angelo conferma la protezione divina, Dio compie la sua parte del patto, Giacobbe dovrà compiere la sua. Il tema che ora ricorre nella storia sarà il ritorno a Canaan, così l’angelo gli ordina di ripartire verso la terra promessa.

Immediatamente dopo, Gen. 32,2 Gacobbe incontrò “gli angeli di Dio” e quando li vide disse “questo è l’esercito di Dio”, chiamando il luogo Maha-naim. Il racconto di Giacobbe è simile ad altri di tradizioni semitiche in cui una "armata celeste" composta da soldati che non perirono in una determinata battaglia, ma che semplicemente sparirono nel nulla per apparire ora affianco all’eroe per sconfiggere i nemici. Il contesto è molto eloquente: prima Labano si era lanciato all’inseguimento di Giacobbe per farlo ritornare, il che ha provocato una crisi nell’accampamento di Giacobbe, e poi Esau attende con un altro esercito “il fratello minore” per saldare i conti. Due eserciti nemici minacciano il patriarca, la visione dell’armata angelica mostra il favore divino e che il Signore compirà la sua parte del “patto” e proteggerà l’eletto.

Il racconto della lotta di Giacobbe contro un angelo, Gen 32,24‑25 è talvolta il più significativo della storia di Giacobbe per il nostro tema. Questo essere angelico è descritto sia come "un uomo ish" (v.25), che come un "elohim" (un dio: vv. 28 e 30), o come un angelo o messaggero celeste nella lettura che ne fa Osea 12,4. E' un tema comune quello della lotta finché non si ottiene la benedi­zione di un essere spirituale o si carpisce il nome (per avere potere sul personaggio spirituale) o il segreto che nasconde. In realtà il testo mette in chiave antropomorfica l’esperienza spirituale travagliata del patriarca: egli ha lottato un’intera notte (tutta la sua vita)  contro gli uomini e contro Dio (Dio poteva farlo nascere per primo e si sarebbe risparmiato anche lui una grande fatica) e ha vinto (la benedizione l’aveva già ricevuta dal padre), così il suo nome è mutato in ISH-RA-EL, nome della nazione che nasce da lui, la cui spiegazione etimologica è proprio quella di un popolo che ha lottato contro Dio e gli uomini e ha vinto, cioè è stato benedetto da Dio. Il solo nome della nazione è in sé un trattato di teologia e di storia della salvezza che continua tuttora.

Finalmente, quando Giacobbe fa testamento e “trasmette la benedizione”, la divide fra i figli e i due nipoti figli di Giuseppe, si tratta quasi di una riflessione a ritroso, Gen. 48,16. Dice il patriarca che un angelo “liberò Giacobbe da ogni male”. Perciò Giacobbe chiede che questo angelo tutelare protegga i due figli di Giuseppe Efraim e Manasse.

L’elemento che si aggiunge alla riflessione sugli angeli in questi racconti è doppio. Da una parte la caratteristica degli angeli in quanto esseri celesti (c’è un processo di decantazione possiamo dire monoteistica). In un primo momento, come in altre tradizioni semitiche gli angeli sono degli elohim, esseri divini di rango inferiore a Dio o talvolta “figli di Dio” ben-elohim. Si passa a considerarli, nella logica del monoteismo come esseri celesti ma non divini. In secondo luogo, la sua funzione si specializza, sparisce la loro quasi identificazione con Dio, per acquistare personalità e funzioni proprie. Sono riguardo Dio dei servitori e messaggeri che rivelano e mostrano in visione o in sogno quale sia la volontà divina per loro. Riguardo gli esseri umani sono strumenti della rivelazione divina, e questo fa che gli uomini “li confondano” con Dio stesso o con degli uomini, e portatori della protezione, della tutela divina, ricordano le promesse di Dio e le “attuano” nella storia. Sono messaggeri divini per gli uomini che portano le liete novelle e protettori dei benedetti di Dio con una funzione tutelare (come quella dei soldati nei confronti della nazione). Sarà normale o naturale questa identificazione tra angelo ed esercito di Dio.


[i] Per questi ed altri esempi si veda la voce “Angels” in Butrick, George Arthur et alt. The Interpreter’s Dictionary of the Bible. An Illustrated Enciclopedia: Volume I.  A-D. (New York & Nashville, Abingdon Press, 1976). Tutti gli esempi citati sono stati pressi da questo articolo.