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Predicazione per il funerale di Giorgia

Testi biblici: Giovanni 10,10    Efesini 2, 4-7   Romani 8, 31-39

"Questa gabbia è troppo stretta, quanto ci vuole a volare via da qui?", un post di Giorgia sulla sua bacheca di Facebook, il giorno prima.

1. "La vita è una gabbia"
In questa frase c'è forse la ragio

ne autografa del gesto di Giorgia. Un gesto estremo, un gesto che però non è il risultato di un momento di sconforto, ma di una perdurante condizione esistenziale, infatti, come sappiamo, ci aveva già provato.
Nel Vangelo di Giovanni è riportata l'espressione di Gesù: "Io sono venuto perché abbiano  vita e l'abbiano in abbondanza". Gesù usa questa espressione in un capitolo (il 10) in cui parla di se stesso come del "pastore buono" che si dedica alla difesa e alla prosperità del gregge (la comunità). Egli è venuto a portare vita in "abbondanza". Questo è affermato contro i falsi pastori, i mercenari, i prezzolati, i cattivi maestri, i quali hanno solo l'apparenza della benignità e della protezione, giacché in verità essi non hanno affezione alcuna per il gregge.
L'intenzione di Gesù sulla vita di Giorgia, come su quella di ognuno di noi,  è sempre stata buona. E, tutti qui, spero, siamo certi che oggi Giorgia è proprio come quell'agnellino della iconografia tradizionale del "Buon Pastore" che Egli porta sulle spalle. L'immagine di Giorgia sollevata dal suolo e tenuta in braccio dal Signore, infatti, ci è di grande conforto.
Tuttavia la domanda resta: perché per Giorgia la vita non è stata un "verde pascolo", ma una gabbia?
Sebbene in Giorgia questa esperienza abbia raggiunto apici di dolore inenarrabili, sono certo che sarete pronti ad ammettere che, ecco, questa espressione, almeno una volta è stata anche sulle vostre labbra o nel vostro cuore.
Perché?
Perché è come se la nostra vita fosse aperta ad una attesa di compimento, ad una attesa di pienezza che sembra non realizzarsi mai. E questo a causa delle troppe cose che la stringono e la soffocano.
Certe volte, lo dico con dolore, perfino la religione con i suoi pesanti giudizi, diventa una gabbia...
Aspettiamo, aneliamo a una libertà, ad una realizzazione della esistenza che è "eccedente" rispetto a quanto abbiamo a disposizione. La vita è una gabbia perché non basta mai. Non solo e non tanto per la lunghezza dei giorni, ma proprio per la "qualità" della vita, per la nostra connaturata "ricerca della felicità" che però non trova attuazione se non in momenti fugaci.
 Tante persone impedite fisicamente, "diversamente abili",  sperimentano il corpo come un involucro stretto nel quale ci si muove a fatica. Ma spesso questa sensazione la viviamo anche quando siamo in buona forma fisica.
Gesù parla di una vita esuberante perché conosce questa "costrizione". La quale, però, è il risultato di un agglomerato di concause. Ha molti aspetti, ma un unico nome.
La Bibbia chiama questa cappa soffocante, peccato. Noi siamo abituati a tradurre questa parola in termini immediatamente morali, o peggio moralistici. Ma non è di questo che si tratta. Ci "costringe" tutto ciò che ci impedisce di crescere e di stare al mondo come vorremmo: in pace con noi stessi, in pace con le altre creature, in pace col cosmo. Il peccato è la perdita di armonia a causa della frattura tra noi e Dio.
Così dobbiamo confrontarci con un nemico che spesso sta intorno a noi e può chiamarsi guerra o malattia, abbandono o solitudine. E' sempre qualcosa che ci toglie il respiro, che ci avvilisce, che ci toglie dignità. Ancora più spesse sono le sbarre della gabbia, quando essa sta non solo intorno a noi, ma anche "dentro di noi".
Questa è la condizione umana, e Giovanni l'evangelista, ci dice che Gesù è venuto per darci  vita piena. Egli riconosce questa condizione di oppressione e ci annuncia che questa non corrisponde al piano di Dio. Dio in Cristo è venuto per aprire la gabbia.

2. La vita è una gabbia,  "troppo"  stretta
Ma per Giorgia la vita era "troppo stretta". Giorgia non dice "molto stretta". Forse anche diversi tra i presenti avrebbero potuto dire "molto". Giorgia dice "troppo". La parola non è casuale. Se l'avesse dovuta scegliere tra un milione di parole, non avrebbe potuto trovarne una migliore per esprimere il suo dolore. E, infatti siamo qui proprio per questo "troppo". Non era un modo di dire.
Il "troppo" parla dell'animo particolarmente sensibile di Giorgia.
C'è stato un tempo, davvero "troppo" lungo, nel quale la Chiesa ha colpevolizzato il suicidio, considerandolo una variante dell'omicidio. Un tempo nel quale le chiese hanno caricato di giudizio spirituale atti così estremi. Oggi dobbiamo dirlo, senza paura: è stato un errore, una ingiusta generalizzazione. Infatti, precisiamo, perché i casi sono tanti. Anche quelli dei terroristi kamikaze sono suicidi. Ma quelli son atti partoriti dall'odio, da un odio così totale e cosmico verso tutti, che far morire altre persone da' più sollievo che conservare la propria vita.
Faremmo una gran confusione se non distinguessimo.
"Il "troppo" di Giorgia ha a che vedere con la sua sensibilità e anche col suo amore.
Credo che ci sono tanti amici che possono testimoniarlo.
Io stesso quando sono stato a trovarla in un suo ricovero ospedaliero, posso rendere testimonianza delle sue premure, molto affettuose, per una giovane amica, vicina di letto, che soffriva psichicamente in forma acuta.
Ma soprattutto questo è testimoniato dall'ultimo messaggio che Giorgia ha lasciato alla madre su un post-it. Un messaggio premuroso, un breve, ma intenso testamento di amore: "Vi amo. Giuro"
Più si ama, più si partecipa della sofferenza di tutte le cose, più si sopporta con fatica l'ipocrisia, il cinismo, l'opportunismo dei nostri tempi, e più si percepisce questo "troppo".
La Bibbia non manca di testimonianze di questo genere.
Il Salmista grida "Fino a quando, Signore?". Esprimendo così l'angoscia di chi soffre da innocente.
E il profeta Geremia, per la stessa ragione, arriva a dire

"14 Maledetto sia il giorno che io nacqui! Il giorno che mia madre mi partorì non sia benedetto!
 15 Maledetto sia l' uomo che portò a mio padre la notizia: «Ti è nato un maschio», e lo colmò di gioia! (cap 20).

Anche l'apostolo Paolo, mentre è in carcere, scrive ai cristiani della città di Filippi che si sente stretto dai due lati:
"Da una parte ho il desiderio  -scrive-  di partire e di essere con Cristo, perché è molto meglio, ma dall'altra il mio rimanere nel corpo è più necessario per voi" (Filippesi 1,24).

Vorrei poter dire di più di questo "troppo" di Giorgia. Ma non ne sono in grado.
Era forse riconducibile alla sua diagnosi medica? O questo "troppo" era dovuto a quel malessere che appartiene ad una intera generazione ed ha nell'attuale contesto storico la sua origine? Si tratta cioè di quell'"Ospite Inquietante",  come Umberto Garimberti chiama il nichilismo che abita in particolare la casa dei giovani?
Non lo sappiamo. Questo "troppo" ci interroga e forse ci accompagnerà per molti giorni. Forse non è un male che non sappiamo rispondere subito, e questo, non per alimentare in noi stessi o in altri il senso di colpa. Ma, semmai,  per cercare di capire di più come possiamo alleggerire questo peso della vita di tanti  giovani.

3. "Quanto ci vuole a volare via di qui?"
Verrebbe di rispondere a questa domanda con immediatezza: "Nulla, cara Giorgia, non ci vuole nulla. Un solo attimo, un salto ed è la fine".
Ma stiamo attenti, Giorgia non parla di una "cadere", ma di un volare. Non si riferisce allo schianto di un corpo precipitato dalla gravità, ma alla leggerezza di una vita che si libra nell'aria. L'anelito di Giorgia non era di morte ma di vita. Non era di oblio ma di "elevazione".
Noi vogliamo credere e ci sentiamo autorizzati ad annunciare che è per la grazia di Dio, cara Giorgia, che il tuo corpo esile, adesso è sostenuto dalla leggerezza eterna della Salvezza.
Vuoi sapere veramente "quanto ci vuole", cara Giorgia?
Volete saperlo anche voi "quanto ci vuole"?
Ci vuole la vita di Cristo, che muore sulla croce e prende su di sé tutto il carico di questa oppressione che ci schiaccia, che ci tormenta, che ci soffoca.
Cristo appeso alla croce, morto, come dicono gli esperti, per asfissia, prima ancora che per dissanguamento, è divenuto il corpo leggero che se é stato elevato alla destra di Dio. Per la sua leggerezza anche il nostro peso è vinto, sconfitto dalla legge antigravitazionale dell'amore!

4. Onorare la memoria
Non vi chiedo di non piangere e non mi scandalizzerà ascoltare qualche imprecazione. Poi, però, basta.
Poi c'è solo un modo per onorare la vita di Giorgia: farci noi stessi e noi stesse testimoni di speranza. Dissuadere chiunque cada in questa tristezza mortale da gesti così estremi, richiamando le cose belle e grandi che il Signore vuole fare con la sua e la nostra vita, proprio quando vogliono farci credere che che non valga più nulla.
C'è da tirarsi su le maniche per diventare operatori e operatrici di pace e di giustizia, per "riparare" quei valori importanti resi logori da troppa retorica e da troppi cattivi esempi del mondo degli adulti.
Ci sono state altre generazioni di giovani che hanno dovuto farsi carico di una ricostruzione dopo un periodo bellico terribile e dopo le grandi rovine del nazifascismo, ad esempio.

Nessuna paura dunque. Chi ha raccolto la vita di Giorgia, è pronto, se lo vogliamo, a guidare la nostra vita, per darle senso e valore ad "esuberanza".